Pista del Lauzitzring, Germania, 15 settembre 2001: a tredici giri dalla fine, la monoposto di Alessandro Zanardi sbanda, si intraversa, è centrata in pieno da un’altra vettura e vola in mille pezzi. Alex perde entrambe le gambe, arriva all’ospedale di Berlino con meno di un litro di sangue in corpo. Eppure è vivo. Da quel momento, il travaglio e la fatica di ricomporre i pezzi della propria vita, la lunga riabilitazione. Fino al ritorno al Lauzitzring per concludere simbolicamente, a bordo della stessa monoposto, quegli ultimi maledetti tredici giri e riannodare così i capi di un filo che solo un anno e mezzo prima sembrava spezzato per sempre. Alex, ospite oggi in Bocconi di un incontro coordinato da Severino Salvemini nell’ambito di Sapere a tutto campo, da allora ha ricominciato a gareggiare, e a vincere, nel mondiale vetture turismo (Wtcc) e oggi è in attesa di compiere un’altra grande sfida, la maratona di New York. Di fronte alla platea gremita di studenti, il pilota bolognese non solo non si risparmia, ma è letteralmente un fiume in piena. Impossibile non tornare a terribili momenti dell’incidente:“La Nasa ha diffuso un prontuario destinato all’esercito americano, che stabilisce quale sia il limite oltre il quale un ferito non possa statisticamente sopravvivere. Sono orgoglioso di sapere che dopo il mio incidente hanno dovuto rivedere il tutto: secondo le loro stime, il mio caso era ben al di là di ogni possibilità di sopravvivenza”. Zanardi ha giocato a briscola con la morte ed è tornato indietro per raccontarlo. È per questo che, pur avendo perso le gambe, non sente di aver perso qualcosa. “Ho portato a casa il grosso” e tanto gli è bastato per andare avanti. Quando ripensa a ciò che gli è capitato, Zanardi ricorda il film “Nato il 4 luglio”, nel quale un giovane Tom Cruise, reduce dal Vietnam, si ritrova sulla sedia a rotelle: “Mi chiedevo sempre cosa avrei fatto se fossi stato al suo posto e mi rispondevo che mi sarei tolto la vita”, racconta Zanardi. “Ma fin dal primo momento dopo il risveglio questo pensiero non mi ha mai neanche sfiorato”. Certo, alla stampa che domandava imbarazzata, all’indomani dell’incidente, se avrebbe mai voluto tornare a correre in auto, Alex avrebbe volentieri risposto di sì, “ma sarei stato un illuso, in un momento in cui il mio primo problema era riuscire ad andare in bagno”. Allora, l’unico pensiero era “tornare ad essere un buon padre, un buon marito e un buon amico”. Ma siccome la caparbietà è tratto distintivo di tutti i piloti in generale e di Alex in particolare, piangersi addosso senza reagire è l’ultima delle sue scelte: “Se una cosa è stata fatta significa che è possibile ripeterla, magari meglio. La cosa fondamentale è stato quindi rapportarmi agli altri, sapere dove sono potute arrivare le altre persone nelle mie stesse condizioni e tentare di fare meglio. C’è una quantità di energie nascoste che emergono in noi portatori di handicap, una quantità di talenti che normalmente sono sopiti e che ci portano ad avere una maggiore flessibilità mentale”. E adesso che la sua storia è sulle bocche non solo degli appassionati di Formula1, ma “anche delle casalinghe, che mi vedono a metà tra Padre Pio e Raffaella Carrà”, come racconta ironicamente, Alex Zanardi si sente solo all’inizio della sua vita. Una vita che non si è mai realmente interrotta, ma che ha solo preso una piega inaspettata. Zanardi, che si è sentito redarguire bonariamente da Ciampi per aver ripreso a gareggiare (“Lei è un esempio per tutti, però ha già preso un bel colpo, se ne prende un altro del genere l’esempio sparisce”), che dallo stesso Ciampi ha ricevuto il titolo di cavaliere (il suo team voleva aggiungerlo per scherzo davanti al suo nome, sull’auto), che ha il carisma del grande comunicatore (quale altro pilota ha scritto due libri?), sintetizza in una frase il suo modo di approcciarsi al futuro: “Non è che non ho le gambe per fare le cose, è che non ho il tempo per fare tutte le cose che posso fare”. (unibocconi.it)
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