
Giuseppe Impastato (Peppino) nacque a Cinisi il 5 gennaio 1948. Il padre era capo di un piccolo clan mafioso e membro di un clan più vasto. Ma Peppino scelse di uscirne, scelse di combatterla quella mafia. Ecco cosa racconta il fratello Giovanni (che insieme alla madre Felicia ha rotto con la cultura mafiosa):
«C’è una scena del film che spiega tutto. Mio fratello che litiga con mio padre, io lo rincorro per calmarlo e lui mi porta, passo dopo passo, fino alla casa di Tano Badalamenti. La distanza è appunto di soli cento passi. Eppure, mi dice Peppino nel film, quei pochi metri separano due mondi opposti: quello delle persone oneste, dei lavoratori, e l’altro degli assassini e dei prevaricatori. Ecco, questa può essere la metafora della storia di mio fratello: si può vivere nello stesso microcosmo, addirittura sotto lo stesso tetto, come avveniva tra Peppino e mio padre, ed essere distanti anni luce. Nello stesso tempo, lo spazio di soli cento passi ti fa capire quanto sia labile il confine della scelta tra il bene e il male».
Nel 1978 Peppino partecipa con una lista che ha il simbolo di Democrazia Proletaria, alle elezioni comunali a Cinisi. Venne assassinato il 9 maggio 1978 (nello stesso giorno in cui fu ucciso Aldo Moro), qualche giorno prima delle elezioni e qualche giorno dopo l'esposizione di una documentata mostra fotografica sulla devastazione del territorio operata da speculatori e gruppi mafiosi: il suo corpo fu dilaniato da una carica di tritolo posta sui binari della linea ferrata Palermo-Trapani. Le indagini vennero dopprima orientate sull'ipotesi di un attentato terroristico consumato dallo stesso Impastato, o, in subordine, di un suicidio "eclatante". Il caso giudiziario è stato chiuso e riaperto per ben tre volte, sino ad arrivare alla condanna alla pena dell'ergastolo nei confronti del boss di Cinisi Gaetano Badalamenti e del suo complice Vito Palazzolo, accusati di essere i mandanti del delitto.
“Tra la casa di Peppino Impastato e quella di Gaetano Badalamenti ci sono cento passi. Li ho consumati per la prima volta in un pomeriggio di gennaio, con uno scirocco gelido che lavava i marciapiedi e gonfiava i vestiti. Mi ricordo un cielo opprimente e la strada bianca che tagliava il paese in tutta la sua lunghezza, dal mare fino alle prime pietre del monte Pecoraro. Cento passi, cento secondi: provai a contarli e pensai a Peppino. A quante volte era passato davanti alle persiane di Don Tano quando ancora non sapeva come sarebbe finita. Pensai a Peppino, con i pugni in tasca, tra quelle case, perduto con i suoi fantasmi. Infine pensai che è facile morire in fondo alla Sicilia.” (Claudio Fava, “Cinque delitti imperfetti”)
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